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Nelle società con due soci paritetici o con ripartizione di azioni o quote, con potenziale bilanciamento di voti, possono crearsi situazioni di stallo decisionale (deadlock) che nel medio-lungo periodo determinano il rischio di liquidazione della società per impossibilità di funzionamento dell’assemblea.

Per risolvere tali situazioni potrebbe essere opportuno introdurre negli statuti meccanismi e procedure per il trasferimento dall’uno all’altro socio (o gruppi di soci) della partecipazione societaria (c.d. clausole di buy-sell provision). La più importante di tali clausole è senz’altro quella della “Russian roulette”, che può essere “declinata” in diverse modalità.

LO STALLO DECISIONALE. DIFFERENZA TRA DEADLOCK E STALEMATE

Nelle società può accadere che si crei una situazione di stallo decisionale conseguente al mancato raggiungimento dei consensi necessari per la formazione delle deliberazioni1. Con il termine anglosassone “deadlock” si è soliti individuare le ipotesi in cui lo stallo decisionale sia determinato da una situazione di fatto contingente (o comunque sopravvenuta alla costituzione della società) rappresentata normalmente da una compagine sociale paritetica, in cui il capitale sociale risulta detenuto da due soli soci in misura equivalente oppure da un numero maggiore di soci, comunque raggruppati (spesso per ragioni famigliari) in due schieramenti contrapposti e paritetici, nessuno in grado di prevalere sull’altro.

La situazione di deadlock 2si differenzia da quella definita nel mondo anglosassone di “stalemate3“in cui la situazione di impasse viene determinata ex ante dall’introduzione nello statuto della società di particolari regole volte ad attribuire alla minoranza un potere di veto, di modo che in relazione a questioni ritenute strategiche il socio di maggioranza non possa imporre all’assemblea alcuna scelta. In parole povere, il deadlock deriva da una situazione di fatto, che naturalmente crea occasioni di impasse (come già detto la partecipazione paritaria di due soci), la situazione di stalemate si verifica, invece, quando in relazione ad una disputa decisionale lo stallo dipenda da particolari regole convenzionali (quorum) che abbiano attribuito alla minoranza un potere di veto. In quest’ultimo caso la possibilità di stallo è, per così dire, creata dalle parti stesse che vogliono evitare che una parte prevalga sull’altra, preferendo perseguire una gestione concertata o, in difetto, trovare una soluzione negoziata.

Nel presente studio si tratterà principalmente delle situazioni di deadlock ossia delle situazioni di stallo fattuali e non indotte da clausole negoziali.

LA NORMALE ASSENZA DI CLAUSOLE DI DEADLOCK BREAKING PROVISIONS NEGLI STRUMENTI CONTRATTUALI.
SUE RAGIONI

Le clausole statutarie (o i patti parasociali) di deadlock sono clausole volte a superare situazioni di stallo decisionale nella gestione di una società, preservando, ove possibile, la funzionalità e la continuità dell’impresa.

Prima di affrontare l’analisi delle soluzioni pattizie volte a risolvere il problema dello stallo decisionale è necessario analizzare perché in una elevata percentuale di situazioni tali clausole siano del tutto assenti dai documenti istitutivi (atti costitutivi, statuti, patti parasociali).
Infatti, spesso tale mancanza deriva da una precisa scelta delle parti e non da una lacuna negoziale o da una insufficiente ponderazione dei rischi.

Le clausole di deadlock-breaking provisions vengono percepite nella fase istitutiva del contratto associativo come una sorta di dimostrazione di assenza di fiducia nel partner scelto nel convincimento/speranza che sussistano le auspicate condizioni di omogeneità e affinità necessarie per veder prevalere il comune interesse al conseguimento degli obiettivi della venture sui potenziali conflitti di posizioni soggettive.

Taluni evitano di negoziare dette clausole ritenendo consapevolmente utile mantenere un’area contrattuale di incertezza o ambiguità, ciò costituendo “an important drafting technique”.

Infine, molti omettono l’inserimento di clausole di deadlock-breaking ritenendo che una formula o un meccanismo stabiliti a priori possano non essere idonei a risolvere un problema specifico nel momento in cui questo dovesse presentarsi effettivamente.

L’INCIDENZA DEL DISACCORDO SU QUESTIONI DI NATURA NON FONDAMENTALE E FONDAMENTALE.
DISTINZIONE

Il crearsi di una situazione di deadlock in talune ipotesi può provocare la paralisi delle attività che più direttamente sono influenzate dalle mancate decisioni, ma in altri casi può addirittura pregiudicare la stessa sopravvivenza della società sotto il profilo economico o addirittura giuridico.
È evidente che ogni mancata decisione sugli argomenti all’ordine del giorno di una assemblea produce necessariamente un empasse gestionale e conseguenti effetti traumatici. Infatti, la mancanza di intesa tra due soci o gruppi di soci paritetici in merito ad una proposta in assemblea, equivalendo a una manifestazione di volontà negativa sulla proposta medesima potrebbe indurre le parti semplicemente ad esaminare ed individuare altre soluzioni che possano essere condivise da tutti i soci.
Il vero problema si materializza quando il mancato componimento delle diverse opinioni riguarda:

  • in un primo caso la scelta di soluzioni operative, come la scelta di metodi produttivi o la selezione di fornitori di servizi, materiali, Know-how, ecc., in contesti nei quali la mancanza di decisioni idonee e tempestive rischia di tradursi nella risoluzione dei rapporti con i terzi, nell’assoggettamento a pesanti penali e in gravi pregiudizi per la reputazione delle imprese coinvolte;
  • in un secondo caso l’approvazione di decisioni di ricapitalizzazione o di reperimento di finanziamenti, l’approvazione del bilancio, la nomina delle cariche sociali.

Il mancato componimento delle opinioni sulle materie da ultimo descritte sia nella prima che nella seconda categoria può impedire tout court la stessa prosecuzione della vita della società.

L’INCIDENZA DELLO STALLO DECISIONALE SU QUESTIONI FONDAMENTALI NELLE SOCIETÀ DI PERSONE

Cosa accade nell’ipotesi di disaccordo e conseguente stallo su questioni fondamentali nelle società personali4

Nelle società personali il dissidio tra i soci, benché non annoverato espressamente dall’art.2272 c.c. tra le cause di scioglimento delle società personali, può risolversi in quella generale contemplata dal n. 2) del citato articolo, quando il conflitto tra i soci sia tale da rendere impossibile il conseguimento dell’oggetto sociale5(anche qualora si tratti di rapporti fra socio accomandante e socio accomandatario, quando inerisca all’approvazione del rendiconto/bilancio)6. Tuttavia non può considerarsi tale il conflitto causato da gravi inadempienze di uno soltanto dei soci, dal momento che in tale ipotesi i contrasti tra i soci possono essere eliminati estromettendo quello inadempiente a norma dell’art. 2286 c.c.7

Tradotto in altri termini il dissidio tra i soci non può di per sé costituire una causa di scioglimento della società8, laddove tale dissidio, non determini la paralisi dell’attività sociale, ovvero, usando una definizione cara alla giurisprudenza “si risolva in un ostacolo insormontabile al conseguimento dell’oggetto sociale9, 0, meglio, consista in “una situazione ostativa al formarsi di decisioni assolutamente necessarie allo svolgimento dell’attività sociale10.

Inoltre, nelle società di persone composte da due soli soci il dissidio tra questi imputabile al comportamento di uno dei due gravemente inadempiente agli obblighi contrattuali ovvero ai doveri di fedeltà, lealtà, diligenza o correttezza inerenti alla natura fiduciaria del rapporto societario rileva come giusta causa di recesso del socio adempiente o, in alternativa, di esclusione del socio inadempiente, ma non può costituire causa di scioglimento della società11.

Nelle ipotesi di società di persone le clausole di deadlock-breaking provisions possono intervenire oltre che per regolamentare il dissidio tra i soci analogamente a come successivamente verrà riportato per le società di capitali, anche per definire quali possibili cause di scioglimento della società situazioni di dissidio che non impediscono tout court l’operatività della società e a prescindere dalla imputabilità di dette situazioni ad una sola o ad entrambe le parti.

L’INCIDENZA DELLO STALLO DECISIONALE SU QUESTIONI FONDAMENTALI NELLE SOCIETA DI CAPITALI

Nelle società di capitali l’art. 2484 c.c., nell’elencare le cause di scioglimento delle società di capitali indica al n. 3) l’impossibilità di funzionamento o la continua inattività dell’assemblea.

La norma individua nella corretta funzionalità dell’assemblea una conditio sine qua non per la prosecuzione dell’esercizio in comune di una attività di impresa, organizzata nelle forme di società di capitali.

È rilevante notare come la lettera della norma preveda due ipotesi differenti: l’impossibilità di funzionamento e la continua inattività.
La seconda si riferisce a una situazione di fatto, il cui accertamento pare prescindere da un giudizio valutativo per risolversi in una semplice ricostruzione storica dell’attività (rectius, inattività) assembleare. L’impossibilità di funzionamento ricorre nel caso in cui si susseguano più riunioni assembleari all’esito delle quali non venga assunta alcuna deliberazione12.

In conclusione, l’impossibilità di funzionamento ricorre allorché l’assemblea si riunisca ma non sia in grado di deliberare, mentre l’inattività riguarda l’ipotesi in cui la riunione non abbia luogo13.

La vera querelle risiede nell’individuazione dei criteri in forza dei quali ritenere definitiva l’impossibilità di funzionamento, oppure continua l’inattività dell’assemblea.

In giurisprudenza è possibile individuare un duplice piano di analisi, basato su parametri quantitativi e qualitativi.

Sotto il primo profilo la crisi dell’organo deve presentare i caratteri dell’irreversibilità.

In altri termini, secondo la dottrina prevalente, dovrebbe assumere i caratteri della persistenza e continuità nel tempo; è quindi necessario, al fine della sussistenza della causa in esame, non solo una temporanea difficoltà, anche se riconducibile ad una accesa conflittualità tra i soci, ma che la situazione di stallo non appaia superabile e risulti persistere anche nel tempo a seguire14.

In giurisprudenza si è affermata la necessaria presenza del carattere della sostanziale irreversibilità dello stato di impossibilità di funzionamento dell’assemblea, mentre uno stato di mera difficoltà, transitoria o anche di più lunga durata ma che possa comunque positivamente evolversi, non giustifica, né potrebbe invocarsi, come causa di scioglimento della società15.

Normalmente, non sembra dunque sufficiente un’unica assemblea in cui si verifichi una situazione di impasse, essendo necessario che tale situazione si protragga per un periodo maggiormente significativo, tale da consentire di considerare definitivamente compromessa la funzionalità dell’organo.16                                                                 

Sotto il secondo profilo, non assumono rilievo tutte le decisioni rimesse all’assemblea, dovendosi ritenere integrata l’ipotesi di scioglimento solamente nei casi in cui il consesso non sia in grado di assumere le decisioni essenziali per la vita sociale quali la deliberazione di approvazione del bilancio di esercizio ovvero la nomina degli amministratori17.
La giurisprudenza precisa, però, che “/’irreversibilità che deve caratterizzare il dissidio tra i soci, per poter rilevare quale causa di scioglimento della società, deve escludersi quando vi siano strumenti giuridici che, ove applicati, valgano a superare la situazione di paralisi18. Di qui l’evidente importanza della precostituzione di deadlock-breaking provisions.

LE CAUSE CHE DETERMINANO SITUAZIONE DI DEADLOCK E STALEMATE

Accade frequentemente, soprattutto nelle srl, che i soci componenti la società risultino titolari di partecipazioni paritetiche.

È questa l’ipotesi che normalmente può creare una situazione di stallo decisionale. È evidente che lo stallo decisionale non si può verificare qualora vi sia un socio che goda di una assoluta prevalenza in virtù di una preponderante quota di partecipazione oppure di specifiche pattuizioni che gli attribuiscono la leadership nella conduzione della società.

In assenza di situazioni di questo genere, quindi, lo stallo costituisce un evento che si produce nei casi di partecipazione paritetica o nei casi in cui tutte o alcune delle decisioni debbano essere adottate a maggioranza qualificata e la composizione della compagine sociale sia tale da richiedere il consenso del socio di minoranza.

Vanno aggiunti ovviamente i casi in cui le decisioni richiedano il comune accordo, e cioè l’unanimità (se ritenuta compatibile con il modello srl post riforma).

Il sistema della maggioranza qualificata e soprattutto l’unanimità (che determinano lo stalemate) rispondono all’esigenza di tutelare i soci di minoranza che in fase di costituzione della società abbiano il potere negoziale di imporre il condizionamento del meccanismo decisionale, assicurandosi una sorta di potere di veto.
Sarebbe tuttavia un errore attribuire le cause dello stallo, in generale, a questo o a quel tipo di meccanismo decisionale, nell’ambito delle varie forme in cui si può estrinsecarsi il rapporto.

Le ragioni più profonde vanno spesso ricercate nella difficoltà di raccordare differenti approcci, strategie, sistemi gestionali dei soci.
AI prodursi e talvolta al cristallizzarsi di situazioni di paralisi può contribuire anche lo sfasamento dei tempi che sono necessari per recepire le informazioni e formare i propri convincimenti.

Il perdurare della situazione di stallo non solo può provocare la paralisi delle attività che più direttamente sono influenzate dalle mancate decisioni, ma può pregiudicare la stessa sopravvivenza della società.

È allora da verificare se nell’ipotesi di partecipazione paritetica al capitale o di quorum rafforzati esistano tecniche preventive per la soluzione di situazioni di stallo e soprattutto se le stesse siano compatibili con la disciplina della srl.19

I relativi meccanismi elaborati dalla prassi possono distinguersi, in primo luogo, fra quelli aventi lo scopo di mantenere in vita il rapporto associativo, attraverso soluzioni, o tentativi di soluzione, al problema specifico del deadlock e quelli aventi ad oggetto lo scioglimento del rapporto e la sua regolamentazione.

I MECCANISMI TESI A MANTENERE IN VITA IL RAPPORTO ASSOCIATIVO E QUELLI TESI A DETERMINARE LO SCIOGLIMENTO DEL RAPPORTO ASSOCIATIVO TRA I SOCI IN CONFLITTO

I meccanismi della prima categoria (tesi a mantenere in vita il rapporto associativo) possono distinguersi nei seguenti tipi:

  • quelli che tendono alla maturazione di una intesa attraverso un periodo di riflessione;
  • quelli che prevedono la prevalenza della volontà di una delle parti, o attraverso il sistema del c.d. casting vote, oppure gravando il socio leader delle responsabilità per i rischi connessi con la scelta da essa operata;
  • quelli che prevedono l’intervento di terzi all’interno della struttura della società. Si pensi all’ipotesi di intervento in assemblea, per esempio intestazione al terzo di un’azione per parte;
  • quelli che prevedono l’intervento di terzi esterni alla struttura. Si pensi ad arbitrato e arbitraggio.

I meccanismi della seconda categoria (quelli tesi a determinare lo scioglimento del rapporto associativo tra i soci in conflitto) possono distinguersi nei seguenti tipi:

  • casi di risoluzione del rapporto, con liquidazione delle attività o loro distribuzione ai soci;
  • casi di acquisto da parte di un socio delle quote di partecipazione dell’altro nella società, con conseguente continuazione dell’attività.

IL PERIODO DI COOLING-OFF
Una delle più semplici tipologie di deadlock breaking provision è quella finalizzata a far maturare l’intesa lasciando decantare le tensioni tra soci; detto tentativo può essere esperito da parte dello stesso organo soggetto ad impasse (l’assemblea) dopo un periodo di cooling-off.

La clausola può prevedere in tal caso che: “nell’ipotesi che l’assemblea sia incapace di decidere sulla materia all’ordine del giorno, può riconsiderare l’argomento non prima di [..] giorni, ma non dopo di giorni […] dalla precedente riunione assembleare”.

La fase c.d. di raffreddamento (cooling-off) può imporre all’organo competente di riesaminare la questione controversa, anche dopo un nuovo approfondimento e sulla base di pareri e proposte di collaboratori.

Queste clausole, pur non costituendo espedienti particolarmente elaborati e pur avendo carattere vincolante solo sulle procedure da adottare e non sul raggiungimento di risultati utili, sono forse quelle che meglio si attagliano alle particolari caratteristiche della tipologia associativa paritetica la quale deve trovare nella volontà delle parti lo strumento per consentire un continuo adattamento alle situazioni contingenti.20

IL SISTEMA DEL C.D. CASTING VOTE

Una seconda categoria di soluzioni è rappresentata da clausole che stabiliscono la prevalenza del punto di vista di un socio su quello dell’altro (c.d. casting vote), anche se dette clausole non sono molto ricorrenti.

La ragione risiede nell’ovvia considerazione che una volta concordata una composizione degli organi decisionali, o comunque un quorum, tali da richiedere il consenso di entrambi i soci (o gruppi di soci), è abbastanza eccezionale, in linea di principio, che uno di essi accetti di sottomettersi in un secondo tempo al volere dell’altro.
Tuttavia, esiste una casistica non trascurabile che registra l’adozione di questo sistema che trova la propria motivazione nel fatto che uno dei due soci, godendo in ipotesi di una migliore posizione di partenza rispetto all’altro (per un maggior apporto tecnologico o commerciale all’intrapresa imprenditoriale, un più elevato impegno finanziaria o per altre cause) ritenga tuttavia opportuno accettare, in prima battuta, la ricerca di soluzioni concordate con l’altro socio, fermo restando però il suo diritto a far valere le proprie ragioni qualora il consenso non venga raggiunto.

Nelle spa tale risultato sembra si possa ora conseguire attraverso le azioni a voto plurimo. Infatti, tra gli svariati interventi legislativi che, successivamente alla riforma organica del 2003, hanno interessato la disciplina delle società azionarie, quello che ha preso forma nel giugno scorso con il DL 24.6.2014 n. 91, poi convertito nella L. 11.8.2014 n. 116 ha determinato il definitivo superamento di un principio che per lungo tempo ha caratterizzato il nostro ordinamento ossia il principio di proporzionalità “”un’azione-un voto21.
Le critiche alla persistenza del divieto di voto plurimo nel nostro ordinamento22; hanno portato ad un ripensamento del legislatore culminato nell’abolizione del divieto di emettere azioni a voto plurimo (abrogazione dell’art. 2351 comma 4 c.c.) coincidente con il riconoscimento, al verificarsi di determinate condizioni, della possibilità di esercitare il diritto di voto in misura superiore all’investimento23.
Il nuovo art. 2351 c.c. prevede espressamente che il voto plurimo possa essere previsto “anche per particolari argomenti” o possa essere “subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative”.

Secondo parte della dottrina, “sembra che alla luce della generalità della formulazione letterale non possa escludersi che, in forza di un’interpretazione sistematica l’evento condizionante possa operare anche selettivamente all’interno della categoria unitaria di azioni, purché si tratti di evento inerente alle vicende oggettive del relativo titolare24, al limite argomentando dall’art. 2355-bis comma 2 c.c. nella parte in cui consente il gradimento rimesso ad altri soci, alle vicende oggettive di uno o più azionisti anche diversi dal titolare25.
Sembra, pertanto, che le azioni possano prevedere la possibilità che nel caso di stallo decisionale nella prima riunione assembleare inerente, ad esempio, la nomina degli amministratori, scatti dalla seconda riunione assembleare un diritto di voto multiplo per la categoria di azioni spettanti al socio titolare del c.d. casting-vote.

Un meccanismo analogo potrebbe trovare ingresso anche nelle srl sotto forma di diritto particolare del socio riguardo al voto, qualora si aderisca alla massima emanata in materia di diritto particolare di voto dalla commissione notarile meneghina. La massima n. 138 del Consiglio notarile di Milano del 13.5.2014 recita: “l’atto costitutivo delle s.r.l. può derogare per tutte o alcune decisioni di competenza dei soci al principio di proporzionalità del Diritto di voto sancito dall’art.2479, comma 5 c.c. Ciò può avvenire con clausole che attribuiscono a taluni soci particolari diritti che comportano una maggiorazione del diritto di voto (ad esempio: voto plurimo, casting vote determinante etc.)26

IL SISTEMA DEL C.D. CHAIRMAN
Accade che al fine di risolvere lo stallo decisionale venga predisposta una clausola normalmente strutturata nella prassi in maniera tale da salvaguardare la parità prevedendo la nomina di un chairman esterno alla società per risolvere la situazione con l’aggiunta in alcune clausole della alternanza nella facoltà di designazione (spettante a turno all’uno e all’altro socio per periodi prestabiliti).
La relativa clausola deve innanzitutto chiarire se il c.d. chairman possa esercitare appieno i poteri propri dell’organo assembleare in stallo ovvero si debba limitare a scegliere una tra le proposte in contrasto. Inoltre, la clausola deve determinare chi e come possa dare l’avvio al procedimento, nonché le regole del suo svolgimento. Infine, la clausola può specificare i criteri di valutazione, cui deve attenersi il terzo per la sua decisione. Punto focale della clausola è poi il criterio di nomina del terzo (o dei terzi).

Si può:

  • in primo luogo designare il terzo, cui è rimessa la soluzione dei conflitti, nella stessa clausola;
  • in secondo luogo, si può designare nella clausola il soggetto cui è demandata la nomina del terzo al momento di ciascun conflitto;
  • infine, si può demandare la nomina, volta per volta, ai soggetti che si trovino in conflitto.

La seconda soluzione sembra la più efficace, visto che nel caso della prima soluzione il terzo preventivamente designato potrebbe non essere disponibile all’occorrenza e nell’ultima l’attualità del conflitto potrebbe rendere impossibile l’accordo sul terzo o sui terzi da nominare.

Tuttavia tale espediente utilizzato per lo sblocco dell’impasse decisionale avente come elemento comune l’affidamento a terzi estranei alla compagine sociale del compito di emettere la decisione in luogo dell’assemblea, solitamente, dopo l’infruttuoso esperimento del tentativo di risolvere la divergenza attraverso i sistemi di cooling-off esaminati in precedenza, costituendo un “rimedio esterno”, in presenza della specifica disciplina contenuta nell’art. 37 comma 1 del DLgs. 5/2003, contemplante la sola materia della gestione, ed anzi precisamente le sole materie di competenza degli amministratori, potrebbe ritenersi, a contrario, non utilizzabile nel caso di decisioni in materia non gestionale27 e peraltro in detto ambito utilizzabile dall’assemblea di srl come dalla compagine sociale delle società di persone, con qualche ragionevole dubbio nel caso di spa.

IL MECCANISMO DELLA PARTECIPAZIONE SOCIALE INTESTATA AD UN ARBITRO FIDUCIARIO C.D. “AGO DELLA BILANCIA”
Un altro modo per sbloccare lo stallo, senza che uno dei due soci abbia in partenza la facoltà di far prevalere la propria posizione, consiste nel chiamare un terzo indipendente a far parte della società (come socio) per esprimere il suo voto determinante in favore dell’una o dell’altra proposta, e fungere quindi, come si suole dire da ago della bilancia.

In detto filone la prassi conosce l’intestazione fiduciaria ad un terzo di una minima quota di capitale finalizzata a spogliare i soci paritetici del diritto di voto relativo alla partecipazione del fiduciario, affinché questo, esercitando i diritti amministrativi nell’interesse non già dei singoli soci, ma dell’ente, garantisca continuità di funzionamento dei meccanismi decisionali della società28.

La soluzione alla prova dei fatti non sempre è tombale, visto che il socio ridotto in minoranza può comunque questionare circa il corretto adempimento del mandato fiduciario29.
Inoltre, non è poi così pacifico che il fiduciario non risponda per gli atti di eterogestione di cui all’art. 2476 comma 7 c.c.30, se adottati con il suo voto “decisivo”.

L’INVALIDITÀ DELLA CLAUSOLA STATUTARIA DI SRL CHE CONSENTA CHE LA DECISIONE SIA PRESA DALLA METÀ DEL CAPITALE SOCIALE NON COSTITUENTE UNA MAGGIORANZA
La variazione delle maggioranze indicate dalla legge dipende dall’intento di favorire la formazione del consenso assembleare o da quello di richiedere una maggiore ampiezza in rapporto alla maggiore importanza delle decisioni da prendere31.

Il nuovo art. 2479-bis c.c., prevede quale quorum deliberativo la maggioranza assoluta nella normalità dei casi e, invece, nel caso dei nn. 4) e 5) dell’art. 2479 c.c. (modifica dell’atto costitutivo e operazioni che comportino una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale) il voto favorevole dei soci che rappresentino la metà del capitale sociale.

Nel secondo caso resta aperta l’ipotesi in cui, partecipando tutti i soci, la votazione si concluda con un esito di parità perfetta.

La conseguenza di una interpretazione basata sul dato letterale nelle due ipotesi previste dai numeri 4) e 5), che pure risultano le più rilevanti nella vita sociale, sarebbe la sufficienza della sola volontà favorevole della metà esatta del capitale sociale, con possibilità di pervenire sempre ad una deliberazione, anche nel caso di capitale diviso al 50% tra due soci contrapposti, utilizzando proprio quell’escamotage per facilitare l’adozione delle delibere, fondato sulla sufficienza di almeno la metà del capitale sociale favorevole.

L’interpretazione letterale della norma nel senso di cui sopra, se condivisa, potrebbe consentire l’adozione di deliberazioni con il voto favorevole del 50% del capitale, contrario il rimanente 50%, sia nel silenzio dello statuto, sia nel caso di riproduzione statutaria pedissequa dei quorum di legge di cui ai nn. 4) e 5) dell’art. 2479 c.c., sia nel caso, infine, di un’ipotetica estensione statutaria del disposto sui quorum dei nn. 4) e 5) del comma 2 dell’art. 2479 c.c. anche alle ulteriori ipotesi di decisioni assunte con il metodo assembleare.

In questo senso si esprimeva parte della dottrina che vedeva nella norma “una ricerca di facilitazione del processo formativo del consenso dei soci, indirizzato a favorire il funzionamento della società e a ridurre le fattispecie nelle quali tale funzionamento diviene impossibile a causa di potenziali situazioni di empasse che possono venire a determinarsi tra i soci della società”32.

Infatti, si giustificava la scelta non della maggioranza del capitale, ma della metà dello stesso con l’intento di “agevolare comunque l’adozione delle delibere in società nelle quali si ipotizza frequente la presenza di pochi soci titolari di partecipazioni di identico ammontare e dunque il rischio di situazioni di stallo”33. Tuttavia, la stessa dottrina favorevole all’interpretazione del quorum pari al 50% del capitale come scelta consapevole del legislatore per consentire la decisione alla metà del capitale doveva ammettere che se la scelta legislativa così interpretata poteva risultare “assai efficace nel contrastare possibili soluzioni di empasse procedimentale nell’ipotesi in cui una delle due parti faccia un ostruzionismo di tipo passivo, ad esempio, non esprimendo il proprio consenso o non partecipand0 alle assemblee, dall’altro lato, maggiori problematiche pratiche si potrebbero verificare nel caso di partecipazione attiva di entrambi i soci o blocchi paritetici di soci: infatti, potrebbe instaurarsi un meccanismo di decisioni e contro-decisioni, ciascuna delle quali assunta con il voto favorevole di almeno la metà del capitale sociale”34.

In realtà sia la giurisprudenza chiamata a giudicare la questione sia la dottrina si sono a più riprese schierate per una interpretazione ortopedica della stretta lettera della norma (art. 2479-bis c.c. che regola il quorum delle riunioni “assembleari di cui ai nn. 4) e 5) del secondo comma dell’art 2479 c.c.’), che dovrebbe essere la seguente: “salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, l’assemblea si riunisce presso la sede sociale ed è regolarmente costituita con la presenza di tanti soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale e delibera a maggioranza assoluta dei presenti e, nei casi previsti dai numeri 4) e 5) del secondo comma dell’art. 2479, tale maggioranza assoluta deve essere formata, con il voto favorevole dei soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale”35.

A motivazione di detta ricostruzione si è addotto che “il principio maggioritario, anche se può essere derogato richiedendo quorum superiori per la manifestazione della volontà dell’assemblea, non può essere comunque annullato, ritenendo sufficiente per l’adozione delle delibere assembleari il voto favorevole di almeno la metà del capitale sociale perché in tal caso, ed in presenza di una società con due soci in generale contrasto, l’organo collegiale non può funzionare in quanto si avranno sempre due espressioni contrarie, ma di egual valore, della volontà dei soci e, quindi, l’impossibilità di comprendere la volontà sociale”36.

In dottrina si è sostenuto che “a tale conclusione conduce sia la lettera dell’art. 2479-bis, comma terzo, c.c., là dove richiede che le delibere assembleari siano prese a maggioranza assoluta, con una previsione di carattere generale che vale anche perle delibere assembleari specifiche dell’art. 2479, comma secondo, nn. 4) e 5), c.c., sia, più in generale, il rilievo che il principio di maggioranza nelle delibere assembleari è comunemente inteso nel senso che i voti favorevoli debbano essere superiori alla somma dei voti contrari e degli astenuti”37, e con un certo sforzo interpretativo si è cercato di allungare l’elastico dell’art. 2479-bis comma 3 sino alle decisioni di cui ai nn. 4) e 5) dell’art. 2479 leggendo “una duplice (e contestuale) condizione (tramite la congiunzione e): quella del voto favorevole di almeno la metà del capitale sociale purché corrispondente comunque alla maggioranza assoluta38. Sì è, infine, sottolineato che la ricostruzione secondo cui l’art. 2479-bis comma 2 n. 4) e 5) c.c. richiederebbe inderogabilmente la maggioranza dei soci “é ribadito dall’art. 2487, commi primo e terzo, c.c., che, nell’estendere la competenza dell’assemblea alla nomina e revoca dei liquidatori, ripete che la delibera è approvata con le maggioranze previste per le modificazioni dell’atto costitutivo”39.

Ma il motivo tranchant per sostenere l’incongruenza di un’interpretazione che consenta al 50% del capitale di deliberare vittoriosamente una modifica statutaria a fronte del voto contrario dell’altro 50% del capitale sociale è rappresentata dal ragionamento che la delibera che fosse approvata a parità di voti favorevoli e contrari sarebbe instabile perché la parte soccombente ne potrebbe proporre la revoca. In una successiva assemblea, a parità di voti, prevarrebbe il proponente, cioè colui che era prima opponente.
La controparte potrebbe allora riproporre la prima delibera, e così via all’infinito40.
Inoltre, il potere di convocazione attribuito ai soci dall’art. 2479 comma 1 c.c., unito ad una deroga al principio di maggioranza, conferirebbe in situazioni di stallo fra gruppi contrapposti di soci un vantaggio inaccettabile ed incompatibile con i principi generali di funzionamento dell’ordinamento societario ai soggetti che assumano l’iniziativa deliberativa prima di altri41.

In tal senso si è espressa parte della dottrina obbiettando che la soluzione favorevole alla c.d. “prevalenza dell’istanza deliberativa, espone la società al pericolo di decisioni contraddittorie: basta infatti una riproposizione, in termini esattamente antitetici alla precedente decisione, di una nuova consultazione perché la nuova decisione passi con il voto favorevole dell’altra metà del capitale sociale”42.

Sembra, pertanto logico ritenere che quando voti favorevoli e contrari si equivalgono, la regola della maggioranza conduce allo stallo (c.d. dead-locks) e quindi all’impossibilità di decidere43. Sarebbe opportuno risolvere la questione della partecipazione paritetica in sede di redazione dello statuto, evitando in primis di riprodurre l’oscuro dato normativo, visto che in tal modo lo stesso verrebbe contrattualizzato con conseguente assunzione di paternità dello stesso.

È altrettanto evidente, però, che la soluzione44 di correggere statutariamente la questione prevedendo che “nei casi previsti dai nn. 4) e 5) del comma 2 dell’art. 2479, la maggioranza assoluta deve essere formata, con il voto favorevole dei soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale” se da un punto di vista formale è certamente condivisibile non consente di dotare la società di uno strumento per risolvere situazioni di stallo o deadlock.

I MECCANISMI DI SCIOGLIMENTO DELLA SOCIETÀ E CONSEGUENTE LIQUIDAZIONE DELLA STESSA

Esaurita l’elencazione dei più comuni metodi di deadlock breaking, non resta che esaminare i meccanismi più frequentemente utilizzati per regolamentare la risoluzione del rapporto associativo qualora la situazione di stallo si riveli insanabile e renda non più utilmente praticabile il perseguimento degli scopi comuni. Le relative clausole talvolta definite  “clausole di divorzio”.
I metodi in esame ricomprendono da un lato i casi di liquidazione o distribuzione delle attività e, dall’altro, i casi di acquisto da parte di uno dei soci delle quote possedute dall’altro socio.

La casistica relativa al primo dei due tipi di risoluzione sopra contemplati è senza altro meno fantasiosa e più scarna.

Infatti, normalmente la disciplina per la liquidazione non presenta spunti di rilievo sia perché si tratta di materia già regolata in via legislativa, sia perché solitamente i soci, essendo a loro volta spesso imprenditori, preferiscono di solito continuare in proprio la conduzione dell’azienda, piuttosto che ricevere i proventi da una vendita a terzi. Sussistono tuttavia delle situazioni in cui è utile fissare statutariamente una regolamentazione della procedura di scioglimento e liquidazione, visto che la vigente normativa consente all’art. 2487 c.c. di inserire nell’atto costitutivo o nello statuto i criteri in base ai quali deve svolgersi la liquidazione e la definizione dei poteri dei liquidatori, con particolare riguardo alla cessione dell’azienda.

Non sembra, pertanto, da escludersi una clausola che preveda la ripartizione dei beni aziendali fra le parti sulla base di criteri prestabiliti statutariamente.

LE C.D. CLAUSOLE DI BUY-SELL PROVISION

Esaminate brevemente le tecniche per portare a compimento la liquidazione sembra più interessante concentrare l’esame sulla casistica delle ipotesi in cui l’intero business già oggetto dell’attività sociale venga continuato da uno solo dei soci. Ciò si realizza attraverso la messa in atto di meccanismi e procedure per il trasferimento dall’uno all’altro socio (o gruppo di soci) della propria partecipazione societaria.
Le relative clausole vengono nel loro insieme definite buy-sell provision.
Tra le clausole in questione si possono menzionare:

  • Le clausole di prelazione che potranno essere concepite come: prelazione semplice; prelazione con take out (la clausola prevede che, in caso di offerta in prelazione, i soci che non intendano esercitarla possono pretendere di vendere alle stesse condizioni anche le loro partecipazioni); prelazione con determinazione peritale del prezzo che – in caso di contestazione in ordine alla sua congruità – dovrà essere determinato da un terzo arbitratore;
  • le clausole di divergenza, che mirano a realizzare un’asta tra i soci per l’acquisto delle partecipazioni, mediante meccanismi di opzioni reciproche.

Tra queste meritano di essere ricordate le seguenti.
In primis la clausola di Russian roulette45 con cui viene previsto che ciascun socio possa formulare un’offerta di acquisto, ad un dato prezzo, della partecipazione altrui e la controparte, nel contempo, avrà l’opzione di accettare l’offerta altrui oppure di acquistare a sua volta, a quello stesso prezzo, la quota del socio offerente46.
I vantaggi di detta clausola che ne hanno garantito il successo nella prassi sono legati alla relativa semplicità e rapidità della clausola che ha come merito di incentivare la fissazione di un compenso equo, a cura dei diretti interessati.
La parte che formula l’offerta di acquisto, ha infatti interesse ad effettuare una valutazione accurata e obiettiva, essendo esposta al rischio che l’altra parte dichiari di voler procedere essa stessa all’acquisto alle medesime condizioni.
Varianti alla clausola sopra riportata prevedono che chi prende l’iniziativa in questione anziché offrire di acquistare può offrire di vendere la propria partecipazione all’altra parte, oppure limitarsi a fissare un prezzo per la metà della società  comune, lasciando al socio la facoltà di acquistare o vendere.
Una clausola più strutturata può spingersi a determinare ex ante i criteri di valutazione del valore della partecipazione prevedendo, ad esempio, che “l’offerta di acquisto di vendita dalla parte offerente all’altra parte debba essere fatta a un prezzo unitario per azione non inferiore a quello risultante dall’applicazione alla data dell’offerta della formula di valorizzazione riportata.
I contro della clausola di Russian roulette consistono nel fatto che chi formula l’offerta per primo rischia di ottenere un risultato contrario a quello desiderato, dovendo lasciare all’altro socio la scelta fra acquistare e vendere.
Al fine di evitare che una delle parti “bleffi”, dichiarandosi disponibile all’acquisizione della partecipazione e poi si renda inadempiente, la prassi commerciale prevede una clausola penale definita di sparigliamento che sanzioni la parte inadempiente consentendo alla controparte di acquisire solo la percentuale di capitale necessaria per governare la società.
Come variante alla clausola di Russian roulette viene proposta la clausola di Modified roulette che si basa sul meccanismo della Russian roulette arricchita dall’ulteriore previsione che il socio che ha ricevuto l’offerta (di vendita o di acquisto) possa accettare tale offerta, oppure fare una controfferta a livelli più elevati per vendere la propria partecipazione o per acquistare quella del primo offerente.
La procedura continua finché una parte non accetti l’offerta dell’altra o lasci decorrere senza risposta il termine all’uopo prestabilito: il che equivale ad una deemed acceptance. Il rilancio del prezzo sopra descritto è esaltato nella procedura detta per l’appunto Auction procedure, la cui dinamica viene riprodotta nella clausola.

Come variante alla clausola di Russian Roulette viene proposta la clausola di Modified roulette che si basa sul meccanismo di fondo della Russian roulette arricchita dall’ulteriore previsione che il socio che il socio che ha ricevuto l’offerta (di vendita o di acquisto) possa accettare tale offerta, oppure fare una controfferta a livelli più elevati per vendere la propria partecipazione o per acquistare quella del primo offerente.
La procedura continua finché una parte non accetti l’offerta dell’altra o lasci decorrere senza risposta il termine all’uopo prestabilito: il che equivale ad una deemed acceptance. Il rilancio del prezzo sopra descritto è esaltato nella procedura detta per l’appunto Auction procedure, la cui dinamica viene riprodotta nella clausola riportata di seguito.

CONCLUSIONI

Riteniamo un elogio alla mediocrità il timore che la predisposizione da parte di professionisti di clausole statutarie sguarnite di solidi riferimenti giurisprudenziali, cui appigliarsi nel caso di controversie, crei costi di transazione alla società nel caso di liti, ma è altrettanto ovvio che riprodurre puramente e semplicemente una clausola in un contesto contrattuale diverso da quello in cui essa ha trovato originalmente applicazione, non sempre sì rivela una scelta adeguata47. È evidente che solo alla luce di precedenti giurisprudenziali si potrà testare la validità delle clausole di disolution sopra esaminate.

Il primo precedente giurisprudenziale italiano ha evidenziato quali sono le “anomalie” del nostro sistema di finanziamento delle società che impediscono di operare efficacemente alle clausole di Russian roulette. Scrive il tribunale meneghino che la clausola di Russian roulette non risulta efficace qualora il prezzo offerto non tenga conto anche dei finanziamenti fatti dall’altro socio alla società.
Testualmente “è ovvio che la determinazione del prezzo deve tenere conto anche di questi finanziamenti e della possibilità o meno che vengano restituiti, cosa che ad oggi non risulta sistemata […]. Senza precisa determinazione del prezzo del corrispettivo della cessione, ivi compresi i finanziamenti erogati alla società per il suo funzionamento, risulta difficile ritenere operante il meccanismo della proposta da accettare o rilanciare entro un termine congruo prevista dalla clausola contrattuale, specie perché quei finanziamenti sono superiori di dieci e più volte al prezzo depositato48.

È, pertanto, opportuno correggere la clausola a fronte della sottocapitalizzazione delle società italiane, aggravata da alcuni “sconti legislativi” che consentono alle srl di costituirsi con capitale minimo di 1 euro49 e alle spa di costituirsi con capitale minimo di 50.000 euro50.

Si dovrà, pertanto, prevedere nella clausola che determina il prezzo che: “il prezzo offerto è comprensivo di versamenti in conto futuro aumento del capitale o qualunque altro titolo ed è altresì comprensivo anche della cessione (acquisto) del finanziamento soci nei confronti della società”.

Vista la fisiologica sottocapitalizzazione delle società italiane, che le contraddistingue nel panorama internazionale, sembra si possa coniare il nome di detta clausola corretta definendola come “/Italian roulette”.

1  Busi C.A. “Soluzioni del blocco (deadlock) nel caso di partecipazioni paritetiche nelle s.r.l.”. Ratio-società,1, 2012, p. 4.
2 Cabras G. “Le clausole di deadlock nella riforma del diritto societario”, www,dircomm.it, 2006, 1,
3 Pruitt D.G., Rubin J.Z. “Social conflict; escalation, stalemate, and settlement”, McGraw-Hill, New York, 1994.
4Salafia V “Dissidio fra i soci e scioglimento della società”, Le Società, 2012, p. 1155.
5 Trib. Milano 16.2.2012, in Banca Dati Eutekne e Le Società, 2012, p. 1153.
6 Sul rendiconto: Rordorf R. “Rendiconto e bilancio di esercizio”, Le Società, 1995, p. 1455: Salafia V. “Rendiconto e bilancio di esercizio nelle società di persone”, Le Società, 1990, p. 289,
7 Cass. 15.7.1996 n. 6410, in Banca Dati Eutekne e Giur. IL, 1996, l, 1, c. 1432.
8 App. Milano 9.1.2009, Foro Pad., 2010, c. 559.
9 App. Cagliari 16.9.2004, Riv. giur. sarda, 2006, p. 575.
10 Trib. Pavia 15.12.1989, Dir. fati., 1990, p. 775.
11 Cass. 10.9.2004 n. 18243, in Banca Dati Eutekne.
12 Sull’argomento: Fico O. “Lo scioglimento di spa per impossibilità di funzionamento”, Le Società, 2010, p. 559; Restaino F. “Impossibilità di funzionamento dell’assemblea e clausola compromissoria”, Giur. comm., 2007, Il, p. 1095. Gaeta M.M. “L’im­possibilità di funzionamento dell’assemblea necessita di un accertamento concreto”, Giur. merito. 2011, p. 750.
13 Trib. Napoli 12.1.1993, Dir. e giur., 1994, p. 401.
14 Tarantino G. “Scioglimento della società: inattività dell’assemblea ed impossibilità di perseguire l’oggetto sociale”, Le Società, 2012, p. 394.
15 Trib. Napoli 25.5.2011, in Banca Dati Eutekne e Le Società, 2012, p. 387; Trib. Alessandria 13.12.2010, in Banca Dati Eutekne e Foro It., 2011. c. 627; App. Catania 21.4.2008, Foro lt., Rep., 2009, voce Società, n. 855; Trib. Roma 25.9.2007, Riv. Dir. Coram., 2008, p. 1; Trib. Ravenna 3.2.2006, in Banca Dati Eutekne e Giur. IL, 2006, c. 1875: Trib. Torino 10.3.2003. in Banca Dati Eutekne.
16 Case. 24.10.1996 n. 9267, in Banca Dati Eutekne e Giust, civ., 1997, p. 1353; Trib. Bologna 28.12.1998, Giur. comm.. 2001, p. 430 e App, Bologna, 18.5.1999, ibidem e in Banca Dati Eutekne, ritengono necessaria la mancata approvazione del bilancio per almeno due esercizi consecutivi; contra, Trib. Modena (decr.) 5.4.1983, Le Società, 1983, p, 1156; Trib. Cagliari (ord.) 9.8.1976, Foro L 1976, c. 2478; Trib. Prato 17.12.2009, in Banca Dati Eutekne e Foro IL, 2010, i, c. 2253, che ritengono sufficiente la mancata approvazione del bilancio per un solo esercizio.
17 Trib. Napoli 25.5.2011, cit.; Trib. Brescia 24.6.2011, in Banca Dati Eutekne e Corr. merito, 2012, p. 24: Trib. Alessandria 13.12.2010, cit.; Trib. Prato 12.1.2010, in Banca Dati Eutekne e Le Società, 2010, p. 559.
18 Trib. Napoli 25.5.2011, cit.; Trib. Alessandria 13.12.2010, cit.; Trib. Milano 18.7.1991, Le Società, 1991, p. 1709.
19 Daino G. “Tecniche di soluzione del deadlock: la disciplina contrattuale del disaccordo tra i soci nelle joint ventures paritarie”, Dir. comm. int., 1988, p. 151.
20 Per un esempio di c.d. clausole di cooling-off confronta la clausola di patto parasociale proposta da Canazza F.Cortese E.G. in “Formulario delle società di capitali”, a cura di Panzani L., Lo Cascio G., Giuffrè, Milano, 2006, p. 126
21 In tema: Alvaro A., Caiavarella A., D’Eramo D., Linciano N. “La deviazione dal principio un’azione, un voto e le azioni a voto multiplo”, Riv. società, 2014, p. 479; Barcellona E. “Rischio e potere nel diritto societario riformato”, Giappichelli, Torino, 2012; Ferrarini G. “Un’azione, un voto: un principio europeo?”, Riv. società, 2006; La Sala G.P. “Principio capitalistico e voto non proporzionale nella società per azioni”, Giappichelli, Torino, 2011; Marocchi M. “Sull’attualità della correlazione tra potere di rischio nella s.p.a. riformata”, Contratto e Impresa., 2014, p. 221; Massella Ducci Teri B. “Appunti in tema di divieto di azioni a voto plurimo: evoluzione storica e prospettive applicative”, RDS, 2013, p. 746; Sacco Ginevri A. “L’attribuzione di diritti particolari agli azionisti di lungo termine in una prospettiva di diritto comparato”, Riv. dir. civ., 2012, p. 231.
22 Bione M. “Il voto multiplo: digressioni sul tema”, Giur. comm., 2011, I, p. 663.
23 Abriani N. “Azioni a voto plurimo e maggiorazione del voto: prime considerazioni”, in questa Rivista, 9, 2014, p. 8; Angelici C. in Libertini M., Angelici C. “Un dialogo su voto plurimo e diritto di recesso”, Riv. Dir. comm., 2015, I, p. 1; Angelici C. “Voto maggiorato, voto plurimo e modifiche dell’opa”, Giur. comm., 2015, I, p. 211: Busani A., Sagliocca M. “Le azioni non si contano, ma si pesano: superato il principio one share one vote con l’introduzione delle azioni a voto plurimo e a voto maggiorato”, Le Società, 2014, p. 1049; Cariello V. “Azioni a voto potenziato, voti plurimi senza azioni e tutela dei soci estranei al controllo”, Riv. società, 2015, p. 164; De Giovanni G., Casarosa M. “Azioni a voto plurimo e maggiorazione del voto: regime normativo e regolamentare e possibili applicazioni”, La gestione straordinaria delle imprese, 1, 2015, p. 17; Guizzi G. “La maggiorazione del diritto di voto nelle società quotate: qualche riflessione sistematica”, Corr. Giur., 2015, p. 153; Pollastro I. “Voto plurimo e voto maggiorato: prime considerazioni su ricadute e prospettive”, NDS, 2, 2015, 43; Sagliocca M. “Il definitivo tramonto del principio un azione un voto: tra azioni a voto multiplo e maggiorazione del voto”. Riv. Not., 2914, I. p. 921; Spolidoro M.S. “Il voto plurimo: i sistemi europei”, Riv. società, 2015, p. 135; Tassinari F. “Le azioni a voto plurimo nelle società non quotate: convenienze nell’utilizzo e ipotesi di clausole”, in questa Rivista, 10, 2014, p. 6; Zingales L. “Quel voto plurimo così opaco”, Il Sole 24 Ore, 1.8.2014.
24 Tassinari F., cit., p. 13.
25 Tassinari F., cit., p. 13.
26 La massima è riportata in Busani A. “Il voto nella srl. Massime notarili e orientamenti professionali, Le Società, 2015, p. 482 ed è disponibile in Banca Dati Eutekne. In tal senso anche Nuzzo A., sub art. 2479 c.c., in “Società di Capitali. Commentario”, a cura di Niccolini G., Stagno D’Alcontres A., vol. III, Jovene, Napoli, 2004, p. 1630; Massa Felsani F. “Le decisioni dei soci”, in “La nuova s.r.l. Prime letture e proposte interpretative”, a cura di Farina F., Ibba C, Racugno G., Serra A., Giuffrè, Milano, 2004, p. 323. In senso contrario: Mirone A. “Le decisioni dei soci nella s.r.l.: profili procedimentali”, in “Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso”, diretto da Abbadessa P., Portale G.B., vol. III, UTET, Torino, 2007, p. 499.
27 Mirone A., cit., p. 499.
28 Tucci A. “Contratti parasociali”, in “I contratti del mercato finanziario”, a cura di Gabrielli, Lener R., vol. II, UTET, Torino. 2004, p. 931.
29 Trib. Milano 8.1.2009, in Banca Dati Eutekne e Giur. It., 2009, p. 902.
30 Sull’argomento si veda Zoppini A. “Intestazione fiduciaria e responsabilità per atti di etero gestione (art. 2476. comma 7°, c.c.”, Banca, borsa, tit. cred., 2006, p. 571.
31 Salafia V. “Le modifiche statutarie concernenti il voto (o di partecipazione)”. Le Società, 2014, p. 913.
32 Soldati N. “Le decisioni dei soci”, in “La società a responsabilità limitata”, a cura di Guidotti R., Soldati N., Maggioli, Rimini, 2008.
33 Rosapepe R., sub art. 2479-bis c.c., in “La riforma delle società, a cura di Sandulli M., Santoro V., vol. III, 2003, p. 172.
34 Soldati N., cit., p. 120.
35 Cfr. l’orientamento del Comitato Triveneto di notai in materia di atti societari I.B.6 “Maggioranza pari alla metà del ca- pitale sociale” del settembre 2004, secondo cui “le decisioni dei soci adottabili con il voto favorevole di almeno la metà del capitale sociale, […] non sono approvate qualora detta metà non costituisca anche una maggioranza, il che avviene quando l’altra metà del capitale abbia espresso voto contrario”, Riv. Not., 2004, p. 1590; Holzmiller E. “Le soluzioni operative: quorum costitutivi e deliberativi nelle s.r.l.”, Dir. prat. soc., 1, 2007, p. 52.
36 In giurisprudenza: Trib. Nocera Inferiore 6.5.2010, in Banca Dati Eutekne e Giur. It., 2010, c. 2552; Trib. Nocera Infe- riore 10.6.2011, in Banca Dati Eutekne e Giur. It., 2012, c. 628; Trib. Catania (decr.) 19.7.2005, in Banca Dati Eutekne e Giur. comm., 2006, II, p. 487; Trib. Salerno 12.2.2007, inedita riportata in Gennari F. “Brevi note in tema di quorum assembleari nelle s.r.l.”, Le Società, 2008, p. 562.
37 Marasà G. “Maggioranza e unanimità nelle modificazioni dell’atto costitutivo della s.r.l.”, in “Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso”, diretto da Abbadessa P., Portale G.B., vol. III, UTET, Torino, 2007, p. 707.
38 Benazzo P. “Competenze di soci e amministratori nelle s.r.l.: dall’assemblea fantasma all’anarchia”, Le Società, 2004, p. 813.
39 Santoni G. “Le decisioni dei soci nella società a responsabilità limitata”, Dir. e giur.2003, p. 235.
40 Vigo R., nota a Trib. Catania, decr. 19.7.2005, Giur. comm., 2006, II, p. 495; Holzmiller E., cit., p. 55; Cian M. “Le decisioni assembleari”, in “Le decisioni dei soci. Le modificazioni dell’atto costitutivo”, in “Trattato delle società a responsabi- lità limitata”, diretto da Ibba C., Marasà G., vol. IV, Cedam, Padova, 2009, p. 81; Santoni G., cit., p. 235; Nuzzo A., sub art. 2479-bis c.c., in “Società di Capitali. Commentario”, cit., p. 1634; Guerrieri G., sub artt. 2479-2479-ter c.c., in “Il nuovo diritto delle società”, a cura di Maffei Alberti A., vol. III, Cedam, Padova, 2005, p. 2042; Zanarone G. “Della società a responsabilità limitata”, in “Il codice civile. Commentario”, fondato da Schlesinger P. e diretto da Busnelli F.D., t. II, Giuffrè, Milano, 2010. p. 1349, nota 89; Salvatore S., sub art. 2479 c.c., in “Delle società a responsabilità limitata”, “Commentario del codice civile Scialoja – Branca, a cura di Galgano F., Zanichelli, Bologna – Il Foro Italiano, Roma, 2014, p. 637; Gennari F. “Brevi note in tema di quorum assembleari nelle s.r.l.”, Le Società, 2008, p. 565; Cagnasso O., Mambriani A. “Codice della società a responsabilità limitata”, Roma, 2015, p. 680. Secondo Cagnasso 0. “La società a responsabilità limitata”, in “Trattato di diritto commerciale”, diretto da Cottino G., Cedam, Padova, 2007, p. 309, “la norma è da intendersi nel senso che in tanto il voto favorevole della metà del capitale sociale è sufficiente all’adozione della delibera in quanto la residua metà del capitale non abbia espresso voto contrario”.
41 Mirone A., cit., p. 499.
42 Benazzo P., p. 813.
43 Trib. Alessandria (decr.) 13.12.2011, Foro It., 2011, c. 627; Trib. Prato 17.12.2009, cit.; App. Catania 21.4.2008, cit.; Trib. Roma 25.9.2007, cit.; Trib. Lecco 19.2.2007, Le Società, 2008, p. 1027; Trib. Ravenna 3.2.2006, cit.; Trib. Milano 26.6.2004, Corr. Giur. 2005, p. 546.
44 Lupetti M.C. “L’intervento del notaio nelle nuove s.r.l.”, Ipsoa, Milano, 2008.
45 La clausola è ritenuta ammissibile da Trib. Milano 15.1.2014, in Banca Dati Eutekne e cit. in Cagnasso O., Mambriani A. “Co- dice della società a responsabilità limitata”, cit., p. 687, il quale ha ritenuto valida la clausola di statuto di srl che prevedeva che, nell’ipotesi in cui si verificasse uno stato di disaccordo tra due soci paritari tale da impedire il funzionamento della società, una parte potesse offrire l’acquisto della quota dell’altra parte a certe condizioni. Il Tribunale ha tuttavia escluso la possibilità per l’offerente di ottenere il trasferimento della quota con un provvedimento ex art. 700 c.p.c.
46 Draetta U. “Un esempio di russian roulette clause per la soluzione di dead-locks”, Dir. comm. int., 1992, p. 515.
47 Dabin L. “Les structures de coopération et les contraintes nées du droit des Sociétés”, Droit et pratique du commerce
international, 1984, p. 477.
48 Trib. Milano 15.1.2014, cit.
49 Busi C.A. “La nuova srl semplificata”, in AA.VV “Le nuove srl. Aspetti sistematici e soluzioni operazioni”, ed. Il Sole-24 Ore, Milano, 2014, p. 58; Busi C.A. “La nuova srl semplificata”, in questa Rivista, 12, 2013, p. 16 e ss.; Busi C.A. “La con- troriforma delle srl e le operazioni straordinarie”, ivi, 9, 2013, p. 25 e ss.; Busi C.A. “Il regime «premiale» della start up innovativa”, ivi, 1, 2013, p. 15 e ss.; Busani A., Busi C.A. “La s.r.l. semplificata (s.r.l.s.) e a capitale ridotto (s.r.l.c.r.)”, Le Società, 2012, p. 1305 e ss.; De Angelis L. “La srl semplificata ed a capitale ridotto”, in questa Rivista, 3, 2013, p. 6 e ss.
50 Busi C.A. “Del minimo di capitale nelle spa e di qualche altra novella”, in questa Rivista, 9, 2014, p. 30 e ss.
51 Busi C.A. “Aumento del capitale nelle s.p.a. e s.r.l.”, Egea, Milano, 2013, p. 100 e ss.; Busi C.A. “L’evoluzione giurisprudenziale del procedimento di aumento del capitale a pagamento. Dal rispetto della forma al rispetto della sostanza”, in “Le opera- zioni sul capitale sociale: casi pratici e tecniche di redazione del verbale notarile”, Quaderni del notariato, ed. Il Sole-24 Ore, Milano, 2008, p. 25; Busi C.A. “Versamenti e finanziamenti dei soci nelle operazioni notarili”, Notariato, 2000, p. 360 e ss.; Busi C.A. “Problemi di qualificazione dei versamenti del socio alla società”, Notariato, 1999, p. 545 e ss.

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